Un laboratorio per la governance come zenit strategico
14 Ottobre 2025
A cura di Maurizio Castro, Direttore Scientifico Executive Master CUOA in Strategia e Crescita aziendale, Commissario Straordinario ACC Compressor.
È stato sostenuto che, all’origine del termine anglosassone governance, dilagato nella lingua franca condivisa da mercanti, imprenditori, avvocati e banchieri nel mare infido e turbolento della globalizzazione, vi sia la parola tardo-latina gubernantia, introdotta o almeno ratificata da Severino Boezio, il romano senator alla cui immagine inquietante di martirio e di splendor è dedicata la chiusa della celebre Leggenda di Teodorico di Giosuè Carducci che mandavamo a memoria alle medie di tanti anni fa. Orbene, il tempo che ci tocca attraversare in queste lacerate stagioni presenta molte somiglianze con quello di Boezio, la cui opera rappresentò a cavallo fra il V e il VI secolo d.C. il primo coerente tentativo di ricucire il tessuto civile della romanità slabbrato dalle invasioni barbariche e di drappeggiarlo con le movenze della trionfante cristianità. Sfarinate le illusioni sulla “fine della storia” nel nome del capitalismo e del liberalismo trionfanti, e del conseguente multilateralismo prospero e pacifico, si squaderna dinanzi a noi un orizzonte fosco, disegnato dalla “pestilenza” e dalla guerra, dal fanatismo e dal sopruso. In questo scenario, dunque, l’espressione “governo” indica di per se stessa una condizione di ragionevolezza e di temperanza, di protezione e di sviluppo, di rispetto e di giustizia.
Così accade anche per l’applicazione della nozione di “governo” alle imprese e alle organizzazioni economiche (la governance), la cui vita mai come in questo periodo storico è necessario sia ben regolata, ben ordinata, ben disposta nello scacchiere delle proprie relazioni interne ed esterne e persino nello scacchiere competitivo. Se in tempi ordinari, infatti, una governance sciatta e persino squinternata determina sempre perdite cospicue di efficienza e di qualità gestionale, ma di rado pregiudica il “senso” economico di un’azienda compromettendone le traiettorie di sopravvivenza, in tempi straordinari invece una governance inadeguata e sfasata conduce rapidamente a distorsioni strategiche irrimediabili, a una condizione avvelenata di straniamento rispetto alla propria missione e alle vie per conseguirla. Ciò accade perché scenari segnati da tanto violenta mutazione e da tanta distanza dalle esperienze accumulate esigono meccanismi decisionali robusti e precisi, consapevoli e severi, espressi da convinzioni e valori profondi ma generatori di scelte audaci e dinamiche: meccanismi che richiamano, per complessità, affidabilità e flessibilità, i migliori modelli di governo della tradizione occidentale (in particolare di quella greco-romana).
Ecco perché il CUOA, assecondando la sua vocazione (la Business School fu fondata nel 1958 sulla base di un’intuizione di Lino Zanussi, convinto che l’azione imprenditoriale dovesse sempre essere alimentata da un fondamento teorico saldo e dispiegato), lancia ora un’iniziativa, denominata Governance, Risk & Compliance Lab, dedicata a porre con nitidezza in cima all’agenda dei ceti dirigenti soprattutto del Nord (capitani d’impresa, manager, professionisti, rappresentanti dei corpi intermedi) questi tre temi, cominciando proprio da quello del “governamento” in una fase nella quale i “rischi” crescono a dismisura e assumono sembianze sconosciute e feroci, da un lato, e, dall’altro, gli “adempimenti” devono farsi sempre più consistenti, finalizzati e responsabili, lontani da ogni rattrappimento burocratico e imbibiti invece di autenticità culturale.
Se si va consolidando un serio consenso intorno alle grandi scelte strategiche (focus sul prodotto e sulla sua innovazione, piattaforme regionali integrate, verticalizzazione del ciclo tecnologico e produttivo, crescita dimensionale, complessità e partecipazione quali vettori organizzativi, presidio delle competenze distintive e apertura all’aggregazione dei loro assetti, integrazione tra pubblico e privato lungo concertate linee di politica industriale, ecc.), quali sono le caratteristiche più scandite della governance chiamata a garantirne la compiuta realizzazione?
E, ancor più, quali di queste caratteristiche si distinguono rispetto a quelle sinora dominanti, segnando una cesura fra l’ormai esaurito “trentennio della globalizzazione” (9 novembre 1989 – 30 dicembre 2019), e la nuova era (la cui prima fase, riprendendo l’iniziale citazione di Boezio, potremmo intanto comparare a quella dei regni romano-barbarici, in attesa del suo consolidamento in una fase simile a quella dell’impero carolingio)?
Pur nell’inevitabile ed estrema sommarietà d’una simile analisi, potremmo senz’altro individuare questi tratti come costitutivi di ogni nuova governance:
- la “pluralità” e il “bilanciamento”: essa dovrà essere aperta ai sistemi esterni (territorio, istituzioni locali, fornitori, clienti, ecc.), incorporando la rappresentazione delle loro ragioni nel suo sistema decisionale accanto a quella dei sistemi interni (proprietà, management, collaboratori, sindacati), trovando forme complesse e persino deliberatamente sofisticate in termini di architettura sociale di equilibrata composizione degli interessi e di unitaria vocazione allo sviluppo;
- la “trasparenza”, intesa sia come leggibilità delle condotte aziendali, dei loro scopi e delle loro motivazioni, sia come affidabilità degli organi di direzione e di controllo;
- la costante “vocazione strategica”, intesa come orientamento alla realizzazione di programmi a lungo termine connotati dalla potenza degli obiettivi e dall’audacia delle scelte operative; la “tensione valoriale ed etica” dell’organizzazione aziendale e della sua cultura (e cioè della sua identità, riguardata etologicamente non meno che assiologicamente e come tale irriducibile alle beghinesche giaculatorie in uso su benessere dei dipendenti, sostenibilità et similia) come autentica fonte di legittimazione della sua esistenza e del suo dispiegamento nella società e nella storia;
- la “responsabilità”, intesa come esercizio di un servizio alla fondativa natura di comunità pattiziamente originata (e non di mera società contrattualmente originata) dell’impresa (istituzione, e quasi “bene comune”, e non già mera proprietà), secondo canoni forgiati a privilegiare la stewardship sulla leadership;
- la “coralità militante” del suo agire organizzativo e competitivo, seguendo e praticando uno stile austero e quasi solenne, teso all’esemplarità e nutrito dalla partecipazione progressiva e ordinata ma non per questo meno propulsiva e decidente di tutti i suoi aderenti; l’adeguata “formalizzazione normativa” dei suoi regimi di funzionamento nella normalità non meno che nelle congiunture straordinarie, secondo una sorta di “costituzionalizzazione” dinamica dei suoi processi fondamentali e dei criteri di selezione dei suoi organi più rilevanti.