A cura di Pierluigi Tosato, Entrepreneur & CEO, Continental Bakeries

Oramai quasi tutti, a parte una esigua minoranza di eco-scettici, sono concordi nel ritenere che se l’umanità continuasse ad emettere le stesse tonnellate di CO2, la temperatura del pianeta aumenterebbe più di un grado e mezzo, con irreparabili conseguenze per l’habitat.

Di questo passo dovremmo dare ragione a Greta Thunberg nel credere che “siamo all’inizio di un’estinzione di massa”.

Esiste, però, una visione più positiva delle cose, chiamata tecno-ottimismo, secondo la quale, grazie alla tecnologia, potremo avvicinarci all’obiettivo ambizioso di avere zero emissioni nel 2050 senza rinunciare alla crescita economica e alle nostre comode abitudini della vita di tutti i giorni. La domanda cruciale è quindi: davvero possiamo continuare ad accrescere il PIL mondiale, quasi all’infinito, oppure ci stiamo raccontando una favola?

Proverò a dare un modesto contributo alla questione in queste brevi righe.

Come riportato nel mio precedente articolo, abbiamo visto che, a volte, l’illusione di inquinare meno con tecnologie verdi è inficiata dalla dura realtà dei fatti. È evidente allora che serve un approccio più olistico alla soluzione del problema e che solo una combinazione di azioni diversa possa supportare la tesi tecno-ottimista. Applicando il secondo principio Kaizen all’analisi del problema, sono arrivato a scomporlo in diversi aspetti.

Secondo il metodo Kaizen bisogna guardare al quadro complessivo e non ai singoli elementi: se analizziamo la provenienza delle emissioni di CO2, notiamo come una buona metà derivi dall’utilizzo dell’energia. L’effetto serra è quindi, in larga scala, un problema energetico. Una buona parte di questa energia viene prodotta oggi da idrocarburi e carbone. I tecno-ottimisti ritengono, così, che non si debba parlare di decrescita del PIL, come soluzione del problema, ma di crescita verde. Spieghiamo meglio il concetto.

Secondo la “Kaya identity”, che prende il nome dall’economista giapponese Yoichi Kaya, il totale delle emissioni di CO2 è pari a:

Total CO2 emissions = Population x Income pro capite x CO2 emissions per $ of Income

Pertanto, potremmo pensare di ridurre la crescita del PIL o quella demografica per cercare di arrivare a una soluzione, ma questa idea di decrescita del PIL viene fortemente osteggiata dai paesi emergenti, che tacciano di ipocrisia i paesi più sviluppati. Quasi tutti gli economisti ritengono, inoltre, che una decrescita del PIL mondiale produrrebbe conseguenze a catena disastrose per tutto il pianeta. Questi argomenti ci lascerebbero, quindi, con un’unica opzione: la crescita verde. Quindi, le due azioni da intraprendere sarebbero quella di aumentare l’efficienza energetica e passare il più possibile alle energie rinnovabili.

Secondo i tecno-ottimisti sarebbe solo una questione di volontà politica e di investimenti pubblici e privati. Ma è davvero così? L’esempio delle auto elettriche ci dovrebbe far riflettere su un’ulteriore componente che manca nella equazione di Kaya. I tecno-ottimisti partono da una ipotesi del tutto confutabile in natura, cioè che le risorse del pianeta, quali acqua dolce e minerali, siano pressoché infinite. Conseguentemente, alcune delle soluzioni verdi proposte mostrano dei limiti.

L’approccio più olistico, basato sul metodo Kaizen, potrebbe servire per evitare di arrivare a conclusioni pericolose, come ad esempio “le auto elettriche salveranno il mondo”. In realtà, solo le auto alimentate a idrogeno verde, ottenuto tramite l’elettrolisi di acqua con energia solare, potrebbero definirsi davvero sostenibili.

In questo senso, il concetto stesso di sostenibilità andrebbe rimodulato e dovrebbe avere un significato molto più esteso, a meno che non si voglia chiudere gli occhi su ciò che succede fuori da casa nostra. Migliorare la qualità dell’aria a Rotterdam, causando la desertificazione di una regione tra Argentina, Bolivia e Cile, non può definirsi di certo una soluzione.

La crisi della pandemia ci avrebbe dovuto insegnare come ogni essere umano sia strettamente interconnesso, l’uno agli altri, e che l’idea stessa di una soluzione “locale” sia impraticabile. Se sposiamo l’idea del fatto che “o tutte le attività antropiche del pianeta diventano sostenibili o non c’è salvezza per nessuno”, allora dobbiamo prendere in considerazione il tema della disponibilità limitata delle risorse non rinnovabili in un arco temporale che ci permetta di neutralizzare le emissioni di CO2, prima che la temperatura esterna raggiunga valori eccessivi.

Il tema è controverso e non di univoca soluzione. Osservo solamente come, a mio modesto avviso, la visione puramente tecno-ottimista presenti dei limiti evidenti. Passare più velocemente possibile a tecnologie veramente verdi, come la produzione di idrogeno da rinnovabili, è chiaramente un punto fondamentale, ma non basta. Solo se tutti noi saremo capaci di modificare le nostre consolidate abitudini consumistiche, e saremo capaci di trasformare le nostre società e le nostre città secondo i principi della riduzione degli sprechi, della condivisione delle risorse e della ottimizzazione dei consumi, potremmo davvero avere una chance di vincere questa difficilissima sfida contro il tempo.

Secondo il terzo principio Kaizen, il processo giusto produce risultati sostenibili. Credo che dovremmo partire da qui, immaginando una società dove si consumi solo ciò che davvero serve e che ciò che si produce derivi da fonti davvero rinnovabili, come il sole e il vento. Per fare tutto ciò, andrebbe però messo in discussione il nostro modello di società, mettere in discussione noi stessi o, come dicono i maestri giapponesi, fare Hansei.