Lettere, protocolli e patti per il passaggio generazionale
14 Ottobre 2025
di Paolo Gubitta, direttore scientifico Centro Competenza Imprenditorialità e Imprese Familiari CUOA Business School e docente di Organizzazione aziendale Università di Padova.
C’è chi la chiama Carta dei Valori, per indicare che la separatezza tra famiglia e impresa è un concetto a geometria variabile: deve essere molto marcata quando si parla di strategia e gestione, ma svanisce quando si devono mettere in fila i princìpi di fondo che ispirano strategia e gestione e che sono espressione della cultura della famiglia proprietaria.
A volte questi princìpi sono definiti anche in modo informale, con delle (si fa per dire) semplici lettere inviate dai genitori a figli e figlie.
Un esempio? Eccolo.
«L’orientamento strategico della nostra impresa è servire il Bene Comune. Uno spiccato senso di giustizia e un sano atteggiamento di distacco dal denaro aiutano a mettere in gioco le risorse per servire nel miglior modo il Bene Comune […] Dalla finalità enunciata discende tra l’altro che il profitto deve essere il frutto conseguente a scelte corrette e gestione oculata e non l’obiettivo primario né tantomeno unico dell’attività»
C’è chi, invece, adottando un approccio più strutturato e ampio, arriva alla sottoscrizione di un Protocollo di famiglia, che oltre ai valori, definisce anche una serie di linee guida che riguardano:
- gli organi di governance tra impresa e famiglia
- le politiche di gestione del capitale umano familiare
- i rapporti tra familiari attivi e non attivi nella gestione
- le evoluzioni organizzative e patrimoniali.
Si tratta di un accordo che impegna moralmente le parti coinvolte e che, quindi, serve a rinsaldare i rapporti tra i componenti della famiglia e a creare le condizioni per consolidare la fiducia e ridurre il rischio o il timore di comportamenti opportunistici, che potrebbero rendere più farraginosi i processi decisionali soprattutto nelle imprese familiari più longeve e con un numero crescente sia di rami familiari sia di discendenti. In queste imprese è normale che ci sia un progressivo raffreddamento nei confronti dell’azienda degli avi o che il numero di opportunità di carriera non sia in linea con il numero di discendenti aspiranti ad avere ruoli nelle realtà di proprietà familiare.
C’è chi, infine, opta per una soluzione che porta le famiglie proprietarie a definire in anticipo (tra «vivi») e in modo vincolante quali sono i criteri che, nel rispetto delle quote di legittima garantite alla legge, verranno usati per ripartire beni, aziende e quote della famiglia. In questo caso, lo strumento usato è il Patto di Famiglia, introdotto in Italia dalla Legge 14 febbraio 2006, n. 55, che ha modificato il codice civile inserendo gli articoli 768-bis, 768-ter, 768-quater e 768-quinquies e che deve sottostare a regole molto precise: atto pubblico, presenza di testimoni, approvazione di tutti i partecipanti all’accordo, compresi beneficiari e coloro che potrebbero essere pregiudicati da tale accordo.
Il vantaggio del Patto di Famiglia è rimuovere il rischio di conflitti al momento della successione, attraverso la definizione anticipata degli assetti proprietari, di governance e gestori, una definizione che può arrivare anche all’attribuzione anticipata di beni specifici a determinati eredi. Date queste caratteristiche, il Patto di Famiglia dovrebbe essere uno strumento ampiamente usato dalle famiglie. La realtà ci racconta però un’altra storia. Le ragioni sono intuitive: le decisioni che coinvolgono la famiglia non sono forgiate solo sul «calcolo» e non sono nemmeno frutto di un bilanciamento tra «calcolo e giudizio», ma sono una sintesi tra «affetti, solidarietà, giudizio e calcolo». A pensarci bene, è una fortuna per le imprese e per le comunità.
Per approfondire questi temi partecipa al primo incontro del ciclo “da NEXTGen a NOWGen”. L’evento è gratuito e si rivolge a persone leader di imprese familiari, alle generazioni junior e alle generazioni senior delle famiglie imprenditoriali.