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Sviluppo professionale

Evoluzione dei modelli di governance e controllo come presupposto per affrontare processi di crescita (M&A)

Evoluzione dei modelli di governance e controllo come presupposto per affrontare processi di crescita (M&A)

Che la leva finanziaria delle imprese sia motore della crescita dimensionale, se usata correttamente, dovrebbe essere ormai patrimonio comune almeno di chiunque si occupi, a qualsiasi titolo, di impresa.

È però altrettanto evidente, ai più, che un modo inappropriato di utilizzarla determini, ove non si ripari per tempo, una progressiva insostenibilità economico-finanziaria, che tenderà ad esplodere soprattutto in concomitanza con shock esogeni, siano essi di mercato che, come nella realtà di questo ultimo biennio, derivanti dalla pandemia e dai venti di guerra che stiamo attraversando.

Il che implica l’esigenza strutturale di implementare adeguati modelli di governance e di controllo (di gestione, in senso lato, non solo economico).

Che il Legislatore sia nel frattempo intervenuto, in questi ultimi anni, con norme specifiche (più o meno efficaci che dir si possa) sul credito nel periodo emergenziale e con le riforme della riforma del codice della crisi e dell’insolvenza, è di per sé uno stimolo in più, non un limite alla (né, tantomeno, un orpello inutile della) libertà d’impresa.

Che, poi, la definizione di governance e controllo possa essere tuttora sfuggente ai più, così come lo è anche la, forse più aulica, definizione di adeguati assetti (organizzativi, amministrativi e contabili) prevista dal novellato art. 2086 del codice civile, è tema connesso all’ancora non compiutamente diffusa consapevolezza del come fare bene impresa.

Già, cosa vuol dire fare bene impresa, oggi? E, inoltre, perché oggi si parla sempre di più di percorsi di crescita (necessaria) soprattutto per linee esterne? E, infine, come poter intraprendere questi percorsi tutt’altro che scevri da insidie ed inciampi oggettivi?

La risposta, concreta, razionale, univoca, applicabile a qualsiasi impresa e imprenditore, quale che siano le dimensioni, il settore o il suo grado di romanticismo etico o di cinica propensione al risultato, è una sola: dotarsi di adeguati (alla singola bisogna) assetti di governance e controllo (mixando la terminologia giuridica con quella economico-sostanziale.

Si pensi a degli esempi concreti.

La capacità predittiva è sempre più importante nelle aziende; non la capacità di indovinare i numeri di fatturato o di redditività nel futuro prossimo, bensì proprio la capacità di individuare gli scenari e le alternative possibili del futuro prossimo, in cui incardinare le scelte (e i numeri) dell’impresa. Per anticiparne tendenze e prevenirne il più possibile i rischi di discontinuità del going concern. Anche dovuti ad eventi estranei al business in sé, magari dipendenti da repentine mutazioni di mercato o, nondimeno, da differenti aspettative future (di ritorno degli investimenti o di tolleranza a nuovi rischi emergenti) dei singoli soci.

La meritevolezza del credito è sempre più inversamente correlata alla rischiosità dell’impresa, sia attuale che di fronte agli scenari futuri, nonché in parte correlata positivamente al livello dimensionale del debitore (seppur quest’ultima correlazione sia decrescente alla riduzione della rischiosità del prenditore). E la fiscalità (rectius, il comportamento fiscale dell’impresa) non è affatto estranea all’evoluzione delle dinamiche del credito, poiché il maggior accento dato ai numeri espressi dai bilanci riduce la convenienza complessiva ad attuare politiche di nascondimento reddituali (e quindi finanziarie), di fatto intervenendo selettivamente sulla deducibilità degli interessi passivi con un’incidenza decrescente al crescere della marginalità, quasi spingendo (se si valutasse il tema oggettivamente) a comportamenti di maggior compliance.

L’analisi dei rischi, non solo finanziari, ma soprattutto organizzativi, operativi, legali, economici e di mercato, si è via via fatta più puntuale anche grazie all’evoluzione della gestione dei dati (rectius, innovazione tecnologica, digitalizzazione, AI) e all’implementazione, pur ancora non diffusa nelle imprese di minori dimensioni, dei modelli organizzativi di vigilanza interna, ai sensi della Legge 231 sulla responsabilità legale delle imprese, il cui perimetro di pertinenza è in continuo ampliamento.

Per crescere serve infatti solidità strutturale, non solo numerica. E perché questa vi sia, occorre implementare organizzativamente dei modelli di monitoraggio e di previsione. Governance e controllo, dunque; già solo per questo, servirebbe approfondirne la conoscenza.

E per crescere per linee esterne? Già, anche parlando di m&a vi è l’esigenza di adeguati modelli organizzativi, intesi qui in senso lato ed ampio.

L’analisi della target (o della partnership) individuata, dei suoi rischi e delle sinergie ottenibili, la compatibilità (giuridica e comportamentale) dei possibili nuovi soci, il monitoraggio successivo, la capacità (o la rigidità) di mutazione organizzativa post deal anche, ma non solo, sotto il profilo delle relazioni sindacali; la corretta correlazione prezzo-rischio-opportunità nella fase negoziale, il saper indirizzare correttamente le attività di due diligence e la quantificazione economica delle clausole di garanzia richiedibili, così da valutare se sia meglio coprire il rischio o accettarlo ribaltandolo sul prezzo; sono tutti elementi per i quali l’aver già implementato (e rodato) un’adeguata governance, sia societaria che operativa, aiuterebbe (rectius, aiuta indubitabilmente) a prendere e a mantenere nel tempo le scelte ottimali per lo scopo che si vuole conseguire.

Anche per tutto questo, dunque, serve dotarsi di adeguati assetti.

E, implicitamente, l’evoluzione in atto – parte della storia recente, parte ancora in divenire – dei modelli di governance e controllo è diventata, per le imprese, al contempo prodromo del buon funzionamento del motore della crescita (economica) e benchmark della sua sostenibilità (finanziaria) nel tempo.

L’approccio operativo a questi temi è cambiato enormemente, nel corso del tempo: dal misurare, al programmare; dall’approccio solo legale, a quello organizzativo e strategico; dal parlare agli shareholders, al rivolgersi agli stakeholders.

E come potrebbe (dovrebbe) cambiare ancora? Implementando fattori ESG, affrontando i cambiamenti nelle supply chain legati ai fenomeni di reshoring e di glocalizzazione (globalizzazione a geometria variabile e con nuove dimensioni locali), cogliendo le opportunità del PNRR e sapendo affrontare i rischi geopolitici riemersi (o forse mai sopiti). E sapendo affrontare l’esigenza tutta italiana dei passaggi generazionali, essendo il Paese europeo, fra l’altro, con la maggiore presenza di membri della famiglia proprietaria nel management delle imprese.

Insomma, tutti fattori di elevata incertezza che generano, al contempo, grandi opportunità di aggregazioni fra imprese, realizzabili con acquisizioni, fusioni o collegamenti di rete; questo poiché ci saranno, da un lato, imprese capaci di resistere e riprendere a crescere ed altre, purtroppo, meno resilienti, dall’altro, che troveranno nella dismissione, o nell’aggregarsi a quelle del primo gruppo, soluzione migliore di un lento declino.

Quindi rischi e opportunità, da cogliere – con adeguati assetti e appropriata governance – per crescere sostenibili nel tempo.

A cura di Francesco M. Renne - Commercialista, Faculty Member CUOA Business School

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